Piccola impresa:aumenta il fatturato,diminuisce la liquidita’!!E la banca?? Prima Parte

Tempo di lettura: 2 minuti

Indici economici buoni- Scarsa liquidità – La storia di una piccola azienda che chiede credito Bancario.


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Una piccola società di persone, azienda metalmeccanica formata da 2 soci, 2 collaboratori ed un amministrativo part time, si è trovata tra la fine del 2008 e la metà del 2009 ad aumentare il fatturato in maniera importante per circa un 40% rispetto al precedente periodo.

Vengo chiamato  verso l’inizio di giugno 2009 e mi viene detto che, nonostante che l’azienda avesse incrementato  il fatturato, non riesce a far fronte ai pagamenti dei fornitori.

Dopo aver valutato la questione noto semplicemente che l’azienda, che continuava ad avere tanto lavoro, era economicamente sana ed aveva margini economici buoni, anzi migliori degli anni passati.

L’impresa aveva il problema di non essere finanziata adeguatamente poichè aveva preso delle commesse con grandi imprese, che sicuramente avrebbero pagato, ma con tempi lunghi spesso superiori ai 120 giorni.

Da notare che la clientela avrebbe pagato esclusivamente con bonifico bancario perciò non si potevano fare ricevute bancarie per smobilizzare i crediti.

Una delle cose da fare subito era di andare in banca e provare a chiedere un finanziamento adeguato per finanziare lo sviluppo, ma la banca soprattutto in questi periodi di restrizione del credito, cosa chiede?

Rating Buoni, Redditi passati adeguati e documentati, Garanzie, Garanzie e soprattutto Garanzie.

Ora, la piccola azienda, ha rating buoni cioè una buona valutazione per dati aziendali e per il comportamento verso il sistema bancario, redditi proporzionati all’attività, ma… non ha garanzie e non è capitalizzata.

Essere non capitalizzata significa che l’impresa ha un basso patrimonio netto dato dal basso capitale apportato dai soci e non ha riserve di utili significative degli anni precedenti poiché i guadagni li hanno prelevati i titolari.

In questo caso il tutto si traduce con un capitale proprio molto inferiore all’indebitamento bancario ,quindi si ha un rapporto non proporzionato ai debiti che in passato l’azienda ha contratto con la banche.

Questo rapporto detto anche Debt equity ratio che esprime il grado di indipendenza finanziaria dell’azienda dalle fonti esterne di finanziamento, si traduce con un rapporto tra Debiti verso terzi e Capitale Proprio.

Questo indice è da considerarsi buono quanto più si avvicina ad 1 – Per la realtà Italiana formata da piccole imprese è accettabile a mio giudizio sino ad un 5.

La ns. azienda in questione ha un rapporto intorno al 10 quindi anche se ha buoni indici economici, da un punto di vista patrimoniale risulta essere sottocapitalizzata.

Allora quale poteva essere la soluzione?

…………………………………

Rimando nel prossimo post  nella seconda parte  il proseguimento della  storia  della  piccola azienda metalmeccanica…

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A Cura di Patrizio Gatti
Autore di “Amministrare l’Azienda


L’articolo è stato anche pubblicato sul blog di Bruno Editore www.giacomobruno.it

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5 Comments

  • Gian Piero Turletti

    17 Agosto 2009 - 8:21 am

    Questo caso rappresenta una tipica esemplificazione dei rapporti banca-impresa in Italia, sotto diversi profili.
    La realtà imprenditoriale, infatti, in Italia è fatta sopratutto di piccole/medie aziende, in cui è tipico trovare i seguenti parametri finanziari:
    – scarsa capitalizzazione
    – patrimonio netto sicuramente molto inferiore alle linee di credito bancario
    – spesso, purtroppo, anche disequilibrio tra gg pagamento fornitori e creditori in genere e gg incasso da clienti, più breve evidentemente il primo, a volte di molto, rispetto al secondo.

    Ma tipico è anche l’atteggiamento della banca.
    In Italia, anche prima della fase recessiva, gli istituti di credito solitamente non hanno mai amato finanziare i progetti di sviluppo, il business, ma le garanzie.
    Tra queste ultime, indubbiamente, rientrano anche quelle consortili, ma diverse banche non amano questa tipologia, rientrante nelle garanzie personali, preferendo invece quelle reali, cioè legate a singoli beni, come l’ipoteca o il pegno su titoli.

    Tipico, peraltro, che anche in caso di delibera positiva a favore dell’azienda, non si privilegi una linea di credito come il finanziamento tout court, ma una qualche forma di smobilizzo dei crediti, consistente nell’anticipare gli importi, che i clienti dell’azienda pagherebbero con ritardo, in questo caso attorno ai 120 gg.

    Tipica forma di linea di credito concessa sopratutto alle PMI è infatti l’anticipo fatture, che in quanto tale non prevede necessariamente la cessione del credito.
    Se si richede quest’ultima, questo significa mettere in atto un istituto giuridico, con il quale l’azienda cliente della banca (cioè alla quale la banca abbia concesso l’anticipo crediti) cede a questa il credito, che le è stato anticipato.
    Quindi il cliente dell’azienda diviene un ceduto verso la banca, in altri termini è obbligato a pagare verso la banca, da quando gli viene comunicata la cessione.

    Tutto queto, però, non comporta ancora, necessariamente, l’accettazione della cessione, e devo dire che, sotto questo profilo,molti imprenditori non capiscono cosa questo significhi, e sopratuto per quale motivo la banca chieda questa ACCETTAZIONE DELLA CESSIONE DA PARTE DEL CIENTE CEDUTO.

    Il tuo articolo, Patrizio, può rappresentare un’utile occasione per spiegarlo.
    Iniziamo con il dire che il codice civile, che regola la maggior parte di questa materia, non prevede, al fine della validità legale della cessione, l’accettazione, da parte del debitore ceduto, della medesima.
    Il fatto è che la cessione non è regolata solo dal codice civile, ma anche da altre norme, alcune delle quali riguardano il fallimento.
    In caso di fallimento dell’impresa cedente, normalmente i crediti da questa vantati verso i propri debitori (anche ceduti) rientrano nel fallimento, il che significa che la banca si troverebbe nella necessità, per tentarne un recupero, di partecipare alla procedura faiilmentare, insieme agli altri creditori dell’impresa.
    Ma questo sgnifica anche, quindi, che la banca si assumerebbe il rischio di non conseguire più quei crediti, o di conseguirli solo in parte, nel caso quanto recuperato dal fallimento fosse inferiore a quanto necessario per pagare tutti i debiti.

    Invece, con l’accettazione della cessione da parte del ceduto, tali crediti sono “scorporati”, in caso di fallimento, e la banca potrà agire direttamente nei confronti del ceduto per riottenerli.
    Spesso non si tiene conto di tali problematiche legali, ed ecco chiarito il perchè tante banche chiedano l’accettazione della cessione.

    Detto questo, va da sè che molte imprese non riescano ad ottenere tale accettazione da parte dei loro clienti.
    Questo per un motivo molto semplice.
    Se si imposta una cessione del credito con accettazione, ad esempio un anticipo fatture, questo significa poi instaurare per ogni fattura, solitamente, una procedura particolare, nel senso che non solo la singola cessione andrà notificata al ceduto, ma dovrà pervenire, di volta in volta, l’accettazione da parte di queto.
    E’ quel che avviene con le società di factoring.
    Ma questo significa anche che magari l’impresa cliente (ceduto), non voglia sobbarcarsi l’onere di seguire gli adempimenti legati appunto all’accettazione della cessione.
    Va da sè, quindi, che solitamente il ceduto accetterà, a sua volta, la cessione magari solo a favore dei propri fornitori più importanti, certamente non a favore di piccoli fornitori, o di quelli che possono essere sostituiti con facilità.
    Certo, potrebbe anche esserci un’accettazione onnicomprensiva, ma soliamente si richiede accettazione per ogni singolo credito/fattura.

    Da quanto precede consegue una realtà fondamentale, un piccolo segreto, che non mi stancherò mai di sottolineare.
    Cercare il credito quando l’azienda non ne ha effettivamente bisogno, cioè sopratutto in periodi di “vacche grasse”.
    E’ sopratutto in queste fasi che le banche sono disponibili, ed a condizioni solitamente più vantaggiose, mentre lo sono molto meno proprio quando l’impresa ne ha più bisogno, anche perchè soggetta a maggiori rischi di tensioni finanziarie.

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